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La Storia

Le onoranze funebri ebraiche partono ancor prima della celebrazione stessa e si basano su specifiche fonti bibliche riguardanti il lutto e la morte. Nell’ebraismo, esiste il concetto di “premio” e “punizione” per le azioni compiute sulla Terra, e non viene concepito né l’inferno, né il paradiso. Il presupposto è che l’anima sia immortale, e dunque intrinsecamente pura. Per tale ragione, quando qualcuno muore si torna nel cosiddetto giardino dell’Eden, dove si viene poi ricompensati per i propri meriti.

I passaggi per la preparazione della salma

Quali sono i passaggi da seguire per la preparazione della salma in un funerale ebraico?
Sono 3 le fasi essenziali:

  • il lavaggio (rechitzah);
  • la purificazione rituale e la preparazione alla sepoltura (taharah);
  • la vestizione (halbashah).

In primo luogo dunque, il corpo, dopo essere stato svestito, dovrà essere delicatamente lavato con una spugna, avendo cura per ogni singolo dettaglio quali le unghie delle mani e dei piedi, o la rimozione di eventuali gioielli e apparecchiature medicali.

Durante la prima fase, avviene la cosiddetta purificazione del corpo; nella seconda invece, ci si occupa della purificazione spirituale, facendo scorrere dell’acqua corrente dalla testa fino ai piedi. Infine, per la vestizione, si utilizzano abiti previsti dalla tradizione.

Il più noto e utilizzato è il Tachrichim, una semplice veste di lino bianco alla quale si affianca anche lo scialle da preghiera nel caso in cui il cadavere sia quello di un uomo. La tradizione italiana è quella invece di avvolgere il corpo esclusivamente in un lenzuolo bianco usato proprio per tale occasione e successivamente lo scialle di preghiera per gli uomini.

Riguardo le bare, nella tradizione ebraica si adoperano modelli molto semplici, privi di qualsiasi decorazione e di fodere.

Altra regola da seguire è quella di non guardare mai il corpo privo di vita, in segno di rispetto ed in particolare il volto. Proprio per questo si utilizza il sovev e gli specchi si coprono perché le persone in lutto non si guardino allo specchio in un momento di tristezza e trasandatezza, non c’entra il morto.

Ogni passaggio è comunque accompagnato dalla lettura di preghiere e passi della Bibbia. Il rituale funebre inizia quando la persona si trova già in uno stato di agonia. In quel momento, è solito restargli vicino per dargli supporto, leggendo dei salmi e non lasciandola mai da sola.

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Contatti

La funzione

Dopo il decesso, il corpo viene deposto a terra con i piedi in direzione della porta della stanza, viene  coperto subito al momento stesso del trapasso, e nella stessa stanza viene acceso un lume a rappresentare la sua anima.
Per la funzione, grande attenzione è riservata nel mantenere il cadavere il più intatto possibile, cercando di celebrare il funerale quanto prima e di solito entro le 24 ore dal decesso. La funzione del funerale ebraico può essere fatta nelle cappelle del commiato o all’interno di un’apposita struttura del cimitero o, e non nella sinagoga dove non è consentito il rito.

La gestione delle onoranze funebri ebraiche in Ofisa viene, su richiesta dei familiari del defunto, coordinata con un gruppo di volontari chiamato “chevrà Kaddishà”, che si occupa di espletare le funzioni e di garantire la sepoltura anche alle persone senza congiunti. Per chi invece ha dei parenti stretti, quest’ultimi dovranno rispettare determinati passaggi previsti dal rito, accompagnati dal rabbino della comunità che si occuperà di istruirli sulle procedure del lutto e di aiutarli, in modo che la salma non resti mai da sola. (I parenti non preparano mai la salma, è sempre meglio che lo facciano dei membri della chevrà  kaddishà che non siano parenti).

Esistono infatti apposite figure, sempre parte della famiglia o dei volontari e chiamate “shomrim”, che sta per “sorveglianti’”. Il loro ruolo è restare sempre accanto al corpo, recitando dei salmi e non abbandonano mai la propria posizione sin dalla morte fino alla sepoltura.

I familiari tra l’altro, sono soliti dopo il funerale strapparsi parti del vestito per simboleggiare la propria disperazione per la perdita, mentre il rabbino, durante la funzione, legge un memoriale in ricordo del defunto. I famigliari più stretti, od il rabbino per loro, recitano  il “Kaddish”, ovvero la tradizionale preghiera per esprimere l’accettazione per il volere di Dio.

La sepoltura ebraica

Arrivati al cimitero, prima di seppellire il corpo, vengono recitate delle elegie speciali e compiute delle azioni particolari. A Firenze si usa farlo anche per le donne si gira per 7 volte attorno alla bara   rievocando i giri che compì il profeta Giosuè attorno alle mura di Gerico per simboleggiare l’abbattimento di ogni “muro” che impedisca all’anima di tornare al Gan Eden. Ci sono varie spiegazioni su questa parte del rito, questa è quella siamo soliti dare ai parenti dei defunti qui a Firenze.

Successivamente, il cadavere viene seppellito in terra, e non è concessa la pratica della cremazione considerando la massima dignità riservata al corpo dopo la morte, che non può essere per nulla al mondo maltrattato o distrutto in vista della resurrezione dei corpi in epoca messianica ed il ricongiungimento tra corpo e anima.

La bara poi viene riposta nella fossa, ed i parenti più stretti gettano manciate di terra su di essa con le proprie mani. Successivamente chi vuole tra gli intervenuti continua a ricoprire la bara usando la pala. Durante la sepoltura, i parenti stretti eseguono quella che viene chiamata “Kerià”, che sta per lacerazione. Questa consiste nel tagliare la maglietta o la camicia che indossano in corrispondenza del cuore.

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Le fasi del lutto

Dopo il lutto, i familiari devono seguire una serie di divieti e di obblighi da mettere in pratica per una durata già prestabilita, e che diventano via via sempre meno stringenti con il passare del tempo. Per 7 giorni, il periodo chiamato “shiva” e il più intenso in quando si portano evidenti segni del lutto, si ricevono visite in casa, ma il tutto avviene con estremo silenzio, senza iniziare alcun tipo di conversazione frivola.

Questo periodo serve infatti per ricevere dagli altri supporto emotivo e conforto. Durante questa settimana inoltre, si mangia per terra o su divani a cui vengono tolti i cuscini, si evita la carne e vino e possibilmente non si va a lavorare. Ma da dove proviene il termine shiva? Letteralmente significa ‘sette’, ed è lo stesso periodo in cui, secondo la Genesi, Giuseppe rimpianse la morte di suo padre Giacobbe.

Per 30 giorni, gli uomini non possono tagliarsi né barba né capelli, e non possono nemmeno sposarsi. Questa fase è chiamata “shloshim”. Il periodo più lungo dura invece 12 mesi, e viene identificato con il termine “shneim asar chodesh”. Per tutto l’anno, ci si astiene da qualsiasi attività mondana, e questo vale per chi solitamente ha perso un genitore.

In generale poi, quando il rito del funerale si è concluso e si ritorna a casa, per i primi sette giorni si consuma solo il cibo portato da altre famiglie o da parenti meno stretti del defunto, si evita di fare per 7 giorni docce o bagni, non si indossano scarpe di cuoio e ci si accomoda spesso su delle sedie basse, come in segno di essersi prostrati dal dolore. Il primo pasto ad essere consumato al rientro viene definito “della consolazione”, e consiste in genere in uova sode o altri cibi dalla forma simile, come vuole la tradizione e la storia biblica di Giacobbe. Si dice infatti che quest’ultimo stava cuocendo le lenticchie subito dopo la morte del nonno Abramo.

Onoranze funeri ebraiche in Italia

In Italia sono presenti tantissime comunità ebraiche che rispettano con estrema attenzione queste tradizioni, con delle piccole eccezioni che variano anche in base alla città.

Ogni singola fase delle onoranze funeri ebraiche viene dunque vissuta in modo molto intenso, e c’è una grande importanza riservata al corpo umano anche dopo il trapasso. Ogni religione dunque, ha il proprio modo di concepire e affrontare la vita e la morte, ma la caratteristica che accomuna tutte è porre al centro dell’attenzione il massimo rispetto per chi non c’è più.

Per il credo ebraico, la morte è un atto della volontà divina, ed essendo dunque riconosciuta come “giusta”, deve anche essere accettata in quanto tale. Per tale motivo, la frase che si recita quando si viene a sapere di un decesso, è conosciuta come “Baruch Dayan Ha-emet”, che significa “Benedetto il Giudice di verità”. Quest’espressione è un modo per esprimere la nostra accettazione nei confronti del volere di Dio.

Per chi vive un lutto poi, e questo nell’ebraismo come nelle altre religioni, è importante ricevere il supporto e il conforto delle persone che ti vogliono bene, e anche questa è una forma di rispetto che non deve assolutamente mancare.

Questo vale per tutti i tipi di onoranze funebri ebraiche, sia che coinvolgano comunità ortodosse, conservatrici o riformate.

 

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